A colazione con Sibomana: Protect People not Borders.

Italo-belga cresciuto nutrendosi delle culture del mondo con cui ha avuto la fortuna di entrare in contatto, avvia un percorso artistico partendo dalla strada per trasmettere il suo messaggio: Protect People not Borders.
Scopriamo insieme chi è Sibomana.
Appunto chi sei?18076807_1668041203492024_2542129380354688910_o

Sono un artista italo-belga, cresciuto in Africa, precisamente in Congo e in Ruanda. In seguito con la mia famiglia ci siamo trasferiti a Bruxelles, dove mi sono laureato in grafica. Nel 2009 sono venuto in Italia, a Roma. Dipingo da sempre, mi occupavo di graffiti e quando sono arrivato in Italia ho abbandonato le bombolette a favore dei pennelli.

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Se dovessi riassumere per tappe il tuo percorso artistico quali sarebbero?

Ho sempre disegnato, mia nonna era una pittrice e penso di aver ereditato da lei questa voglia di creare e di dipingere, quindi è lei la mia prima tappa. La seconda è stato il mio incontro verso i 12-13 anni con i graffiti, ed è la tappa più importante perché mi ha aiutato tanto per il mio percorso artistico e per il mio sviluppo personale. Per otto anni ho vissuto a pieno quel mondo. La terza tappa è il 2005 quando ho scelto l’università puntando su Grafica. Gli studi in Belgio erano molto pratici, si lavorava molto con il disegno a mano libera e lì ho iniziato a dipingere con i pennelli e a creare con le mie mani. La quarta è il mio arrivo a Roma nel 2009, quando ho deciso di mollare i graffiti e tornare ai dipingere, sempre sui muri, ma con i pennelli, non ancora ero molto sicuro di quello che facevo. L’ultima tappa è quando ho capito quello che volevo trasmettere con i miei disegni per strada, far passare un messaggio che fosse “mio”. La cosa che più mi appaga del mio lavoro è far fermare per due secondi qualcuno, mentre è per strada, su un mio disegno e fargli capire qualcosa. Riuscire veramente a veicolare il mio messaggio, questo mi rende felice.

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Di cosa parla il tuo lavoro?

Del multiculturalismo, dell’identità, della migrazione, della figura della donna nella nostra società. Ho passato un lungo periodo al Baobab (un centro accoglienza autogestito di Roma -ndr), e lì, per mesi, ho messo da parte la mia vita per stare a stretto contatto con i migranti. Questa esperienza mi ha aiutato a decidere di cosa volevo parlare nei miei lavori.

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Mi sembra di capire che forse anche il tuo essere “girovago” abbia influenzato l’interesse verso le altre culture, questo emerge nelle tue opere, in particolare nei due progetti Waves of the heroes e Children of the Sea, mi vuoi dire qualcosa a riguardo e cosa ti ha spinto in questa direzione?

Si diciamo che il mio background ha sicuramente contribuito. Ho una doppia nazionalità e ho viaggiato tanto, amo le culture diverse, da sempre vengo attirato dalla diversità perché ci sono cresciuto, e me ne sono innamorato. Per questi due progetti sulla migrazione ho avuto l’intuizione al Baobab, perché lì mi sono davvero reso conto di ciò che stava accadendo in Europa in merito alla situazione dei migranti. Ho incontrato eritrei, etiopi e anche congolesi ed io sono cresciuto in quella che poi è diventata la parte più “calda” del Congo…capisco perché scappano e da cosa. Da quel giorno ho voluto lavorare per raccontare le loro storie. Il primo progetto Waves of the heroes è iniziato con un poster al Baobab realizzato insieme alla fotografa Roberta Santelli, prima tappa di questo percorso che ho poi sviluppato lungo le rotte della migrazione in Europa con una serie di viaggi a Istanbul, all’Isola di Lesbo, ad Atene e Berlino.

I bambini del mare invece sono ora in mostra al museo Explora, il museo dei bambini di Roma. Cercavano un artista che si occupasse del tema della migrazione e mi hanno chiamato. Siccome era un museo dei bambini ho preferito parlare di loro e di lavorare sulla loro figura, anche per sensibilizzare al tema scottante dei minori non accompagnati, una cosa molto grave di cui dovremmo occuparcene di più.

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Ho lavorato con dei bimbi di un centro accoglienza nella periferia di Roma sud, ci ho passato del tempo per conoscerli, li ho coinvolti nel disegno e insieme, piano piano, abbiamo preso confidenza, poi un giorno ho portato la macchina fotografica e abbiamo scattato foto per un pomeriggio intero, tutti insieme. É stata una bellissima esperienza, è molto bello tutto il processo e il percorso che fai insieme a loro. Un giorno ho portato un book dei disegni che faccio per strada. Loro lo sfogliavano e c’era un poster che avevo fatto ad Atene, The road is long, una donna di profilo con il salvagente che guarda l’orizzonte. Loro alla vista del salvagente hanno reagito male, mi dicevano che non gli piaceva e mi sono reso conto dei traumi del viaggio che si portano dentro. Volevo creare un qualcosa di bello e non triste, perché loro erano felici, e volevo mostrare quella positività, quella felicità nonostante tutto ciò che hanno passato.

Qual è il compito dell’artista nella società?

Per me l’arte è prima di tutto emozione, serve a risvegliare la dignità dell’uomo. Il compito dell’artista è aprire la mente, trasmettendo delle emozioni.

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Cosa cerchi in un’opera?

Una sensazione che sento dentro di me quando disegno e cerco di capire il miglior modo per trasmettere il mio messaggio. Me ne rendo conto da solo quando è pronta ad attirare lo sguardo delle persone per strada e, per colpirle, ci deve essere qualcosa di più che una semplice bellezza nello stile del disegno, ci deve essere un messaggio.

La tua tecnica ricorda vagamente quella adottata da un artista che è balzato agli onori della cronaca di recente per un’opera al confine tra USA e Messico che rappresenta un bambino, parlo di Jr, c’è qualcosa di lui nel tuo lavoro?

Si è una domanda che aspettavo da tanto tempo. Lui lavora su tematiche sociali come tanti altri artisti, e lavora su poster e con la fotografia. Io ho iniziato dal disegno per poi passare al mix tra fotografia in bianco e nero e pittura per creare questo contrasto con i colori accesi e vivaci. Jr è uno degli artisti che mi ha più colpito, perché un artista deve avere qualcosa da dire, lui ci è riuscito e ci riesce tuttora.

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Cosa ne pensi della commercializzazione della street art?

A me non da fastidio, mi infastidisce di più quando non si usano le parole giuste perché occorre distinguere tra street art e arte pubblica. Lo street artist è illegale, disegna per strada ma come provocazione. Ora la street art è come un brand da sbandierare per attirare turismo, come “Roma capitale della street art”. Qui siamo davanti ad arte pubblica, sono due cose ben distinte. Per quanto riguarda ciò che è accaduto a Blu a Bologna è stato grave, hanno oltrepassato i limiti. Poi si possono organizzare delle mostre in cui i protagonisti sono street artist, ma dentro ad un museo sono street artist che fanno un progetto definito, non della street art.

A cosa stai lavorando?

Partirò per l’Inghilterra per l’International Journeys Festival, un festival sulla migrazione, poi devo ripartire a ottobre e vorrei fare dei progetti a Londra per strada. In queste settimane sto lavorando ad una mostra il cui titolo si basa su La Ballata di una madre detenuta del poeta laziale Lillo De Mauro. Lui si è battuto, e si batte tuttora per i diritti dei carcerati e dei loro figli, a cui sono dedicate le cinque strofe della ballata. Sarà una sfida per la tematica molto complessa, ma per ora è tutto in fase di costruzione. A novembre sarò a Torino nello stesso periodo di Artissima con una collettiva nel museo-condominio di ViadellaFucina16. In futuro mi piacerebbe sviluppare un progetto sullo Ius Soli. Per ora voglio lavorare in Italia per portare avanti il mio discorso qui.

Se tu potessi scegliere con quale arte nutrirti al mattino per vivere la giornata con energia cosa sceglieresti? In altre parole, se le opere d’arte fossero ciambelle quale mangeresti a colazione?

Tornerei indietro di dieci anni e sarebbero i graffiti, perché se devo pensare a qualcosa che mi da proprio una scarica di adrenalina penso a loro, sono le migliori ciambelle.

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Scopri il lavoro di Sibomana sui sui profili Facebook e Instagram.

Credits:
Img. di copertina: Sibomana, Journey to Europe, 2017, work in progress. Courtesy of the artist.
Fig. 1: Antoine Sibomana con i suoi Children of the sea. Courtesy of the artist.
Fig. 2: Sibomana, The one face project, 2017, Nicosia, Cipro. Courtesy of the artist.
Fig. 3: Sibomana, Children of the sea, 2017, Roma. Courtesy of the artist.
Fig. 4: Sibomana, Baobab Protect People not Borders, 2015, Centro di accoglienza Baobab, Roma. Courtesy of the artist.
Fig. 5: Sibomana, Children of the sea (Babacar, Faith, Sema e Mercy), 2017, Museo Explora, Roma. Courtesy of the artist.
Fig. 6: Sibomana, Mazar-i Sharif,  2017, Roma. Courtesy of the artist.
Fig. 7: L’ultima opera di Jr del 2017 realizzata a Tecate, al confine tra Messico e Usa.
Fig. 8: Sibomana, The one face project, 2017, Nicosia, Cipro. Courtesy of the artist.