Dal 23 maggio al 23 giugno, in occasione della XIII edizione di Photofestival la galleria Manifiesto Blanco presenta il progetto intermediale site-specific Illusorie visioni d’argento – ideato da Diego Randazzo con la curatela di Alessandra Paulitti – prodotto da Avansguardi Lab in collaborazione con Andrea Magri, designer del legno. Nell’esposizione il supporto fotografico analogico (evocato nel titolo della mostra dall’accenno al nitrato d’argento) è ripensato cercando un “incontro-scontro” dialogico con il mondo della fotografia e del disegno pittorico, senza tralasciare l’immagine in movimento.
Passato e presente sono i due elementi fondanti del lavoro di Diego Randazzo. Un inconsueto incontro tra macchinari e tecniche antiche, fuse con tecnologie contemporanee, in un costante viaggio tra epoche differenti, che ci invita a riflettere sull’incessante produzione di immagini che caratterizza il nostro presente.
“Mi sento un ospite di linguaggi e discipline, questa condizione di passaggio mi infonde lo spirito della ricerca” (Diego Randazzo)
Analogico e digitale trovano nel lavoro dell’artista una felice coesistenza che permette una reciproca valorizzazione. Questi due mondi così distanti, eppure così interconnessi, si fanno metafora di lentezza e velocità, meditazione e impulso. A regolare le dinamiche tra questi binomi si inserisce il tempo: sembrano apparentemente identiche le pose impresse sulle pellicole dei lightbox in mostra, ma, ad uno sguardo ravvicinato, si delineano piccole differenze nelle immagini scandite dal passare dei secondi.
La memoria avvicina queste opere alle ricerche dei pionieri della cronofotografia Étienne Jules Marey e Eadweard Muybridge, che Randazzo trasporta in una dimensione più concettuale. Il tempo è dilatato e raccontato attraverso minime variazioni di forma, ciò che appare frutto di un lavoro seriale, è in realtà una ricerca sottile e delicata sulle vibrazioni che definiscono e contraddistinguono ogni istante.
A questo filone di ricerche sono riconducibili anche i Piccoli film perpetui, in cui il supporto di riproduzione è un Tablet, l’oggetto simbolo della nostra quotidianità tecnologica. In questa repentina alternanza di immagini vi è una totale assenza di narrazione. Come nella natura morta, i soggetti fotografati non descrivono alcun movimento, il dinamismo risulta solo dal montaggio dei vari fotogrammi che origina una successione apparentemente statica, la cui alterazione è quasi impercettibile agli occhi. Si è immersi in un loop di immagini bloccate, dove fluiscono solo fremiti e sussulti, quasi la rappresentazione visiva di un nevrotico tic motorio, simbolo, reiterato all’infinito, delle esperienze e gestualità umane.
Il richiamo al passato è evidente anche nei Diorami. Il titolo scelto per questa serie di opere è un chiaro riferimento ai diorami, inventati nella prima metà dell’Ottocento con l’intento di creare piccoli paesaggi tridimensionali utilizzati per ambientare storie all’epoca del Precinema. Il fascino di questi mondi tascabili, racchiusi da cornici in legno, è riportato alla luce da un gioco di rimandi tra l’osservatore e il soggetto rappresentato. Questi piccoli cubi invitano il nostro sguardo ad andare oltre l’oggetto stesso, catapultandoci in una storia nella storia da cui siamo catturati e trasportati oltre alla finitezza della cornice in cui guardiamo.
Un sapore antico racchiude anche la serie di disegni ispirati a vecchie foto di famiglia. L’artista si focalizza su piccoli dettagli circoscritti in cornici geometriche: forme mutuate dalle tradizionali composizioni fotografiche del secolo scorso. Al posto dei ritratti in posa, caratteristici di questa tipologia di cimelio famigliare che affonda le sue radici nell’Ottocento e arriva a noi attraverso le foto dei nostri nonni, troviamo una selezione di particolari. Il racconto della quotidianità è descritto dal tratto della matita che definisce queste raffinate inquadrature. La mediazione del disegno permette all’artista di distanziarsi dal significato che le immagini racchiudono e dalla loro carica emotiva, per poi impossessarsene nuovamente. La tecnica artistica del disegno è un medium attraverso il quale la storia famigliare è assimilata e tradotta in termini nuovi, trasportata sotto nuove vesti nel presente e riconsegnata, così, al futuro.
Alcuni lavori nati grazie a questa mediazione subiscono un ulteriore passaggio, poiché vengono elaborati mediante un’antica tecnica fotografica denominata cianotipia, in cui il disegno è scansionato digitalmente e stampato in negativo.
Il titolo della mostra Illusorie visioni d’argento è ispirato ad un altro nucleo di lavori esposti che l’artista definisce “pittura all’argento”. Questa tecnica di stampa è messa a punto da Randazzo stesso che non parte da un negativo fotografico, ma da movimenti o pennellate stese direttamente sulla carta fotosensibile. La lavorazione avviene nel buio della camera oscura, dove l’artista si immerge perdendo punti di riferimento o ispirazioni date da stimoli visivi esterni. È da questa condizione meditativa che si originano i gesti, senza traccia, lasciati sulla carta. I tempi necessari allo sviluppo dell’immagine determinano uno scarto temporale tra azione e sua rappresentazione fisica. In questo processo di creazione, centrale è il silenzio e i paesaggi racchiusi nella mente che crea senza vedere e produce fotografie senza scattarle.
Le opere più rappresentative della produzione dell’artista sono i Mutoscope II, oggetti che condensano la sua poetica e racchiudono l’essenza della sua ricerca sull’immagine in movimento. Piccole ed eleganti scatole in legno, racchiudono serie di acquerelli disegnati su fogli di carta posti in un continuo fluire. Lo sguardo è ipnotizzato dalla ripetitività infinita di questo roteare, la cui successione, potenzialmente perenne, è enfatizzata dal rumore provocato dallo sfregamento della carta racchiusa al loro interno. Sembra di trovarsi dinnanzi ad oggetti magici, disarmanti per la semplicità del movimento che producono e affascinanti per lo stato di contemplazione in cui sanno trasportare l’osservatore. Nei Mutoscope II il tempo scorre secondo logiche a noi sconosciute producendo, contestualmente, immagini veloci e mutevoli proprie del nostro quotidiano. L’ambivalenza che caratterizza questi oggetti, tanto antichi quanto contemporanei, permette di inserirli nel dialogo aperto sulle modalità di fruizione delle immagini.
La ricerca artistica di Diego Randazzo è un viaggio sinestetico tra tecniche e modalità espressive differenti per tipologia e contesto. Una rimediazione lenta e paziente, nella quale i processi meccanici impiegati si evolvono con la medesima attitudine meditativa a cui si aggiunge, in netto contrasto, la velocità tecnologica che sollecita costantemente il nostro presente. La curiosità verso ciò che è apparentemente distante da noi per forma, funzionamento e utilizzo dà origine ad opere dove l’antico è reso fruibile con leggerezza, senza mai risultare superficiale. Nulla è dato per certo, tutto è messo in discussione con la finalità ultima di cambiare le prospettive consolidate e guardare all’oggi con un approccio inedito.