Dopo il successo del Women’s History Mural di Jann Haworth e Liberty Blake si rinnova l’incontro semestrale con l’arte contemporanea e la cucina giapponese di Zazà ramen noodle bar & restaurant promosso da Brendan Becht, fondatore del locale e collezionista, che per questa nuova installazione site specific ha invitato l’artista Rafael Yossef Herman.
La cultura occidentale trova le sue basi sul binarismo e sulle dicotomie marcate. Fuori da questi contrasti, si rivelano una miriade di concetti, oggetti e soggetti che sfuggono dalla categorizzazione e che per lungo tempo sono state ad appannaggio delle filosofie non Euro/Usa centriche. Forse è questo il motivo per cui Rafael Youssef Herman (Be’er Sheva, Israele, 1974) ha trovato una fruttuosa collaborazione con Zazà Ramen, per la mostra Rafael Y. Herman da Zazà, visitabile fino al 4 ottobre presso il locale in via Solferino 48 a Milano.
La cucina giapponese, ma per extens tutta quella orientale, unisce al piacere fisico, quello dell’anima, in un contesto di fusione panica con la natura. Così, nel locale, vengono allestiti quattro lavori fotografici, i cui soggetti principali, a un primo sguardo, appaiono come elementi naturali. Ma, come nella cucina, anche l’arte – e l’opera di Herman nello specifico – ha bisogno di tempo per manifestarsi e per rompere le nostre categorizzazioni mentali. Infatti, i confini degli alberi, dei fiori e dei sentieri non sono definiti nettamente, ma si confondono con lo sfondo, conferendo alle fotografie un carattere mistico e surreale. Questo è il primo indizio che suggerisce una ricerca più profonda.
Herman si è formato nella musica e nell’economia ma, grazie a un viaggio in Sud America, ha perseguito la strada della fotografia che, più di ogni altro mezzo, riesce a restituire la realtà in maniera oggettiva. Attraverso una modifica dell’apparecchio da parte dell’artista, è stato possibile sviluppare un’immagine che fosse ancora di più legata alla realtà, nella sua accezione più completa. Infatti, le immagini presentate da Zazà Ramen sono state scattate di notte, nella penombra o nel puro buio. Vedendo le opere così luminose e colorate, sembra anti-intuitivo, ma anche questo rientra nei meccanismi di accettazione della realtà, imbrigliati dalla nostra cultura. La luce diventa quindi il soggetto più profondo dell’opera, che rivela la sua potenza anche quando non è percepita.
Rafael mostra che la realtà è composta da differenti sfaccettature che si uniscono, nascondendosi l’un l’altra, per formare ciò che per noi è percepibile. Attraverso le sue fotografie si rivela la potenza dell’invisibile, ciò che a noi è precluso, liberando lo spettatore da quel fastidioso assunto secondo il quale un oggetto è reale solo se è possibile percepirlo sensibilmente.
Si creano due piani di realtà che, però, sono fusi tra loro nel momento stesso della creazione, sfuggendo, ancora una volta, dalla netta categorizzazione. Come il simbolo del Tao, non è possibile definire quale sia la componente reale e quale quella mistica, ma forse nemmeno bisogna chiederlo.