Labs Gallery presenta il nuovo progetto tutto al femminile curato da Angela Madesani, Partiture Illeggibili, che ha inaugurato il 14 dicembre nel cuore di Bologna.
La collettiva si compone di due mostre: la prima vede protagoniste Greta Schödl, Leila Mirzakhani, Nina Carini, un’artista storica e due contemporanee, nella sede della galleria in via Santo Stefano, 38; la seconda, speculare ma opposta, presenta Marcia Hafif, Max Cole ed Elena Modorati, due artiste storiche e una contemporanea, in occasione di Arte Fiera Bologna 2020.
Tre aspetti fondamentali determinano il carattere dell’intervento: la femminilità, la intergenerazionalità e l’internazionalità. Il progetto è in primis tutto al femminile, in quanto coinvolge non solo sei artiste donne, ma anche la stimata storica e critica d’arte Angela Madesani in veste di curatrice.
Nonostante i percorsi delle artiste siano assai diversi, i lavori presentati dialogano inevitabilmente tra loro, in quanto connotati da un filo rosso comune, accuratamente studiato dalla curatrice. Angela Madesani fa convergere le esperienze di queste donne sia da un punto di vista dell’oggetto della ricerca artistica, sia da quello della modalità operativa verso un unico tema centrale: il segno. I lavori di sei personalità di diversa generazione e nazionalità riflettono dunque intorno alla stessa tematica, dando vita a un dialogo collettivo sulle capacità espressive del segno.
Marcia Hafif (Pomona 1929 – New York 2018) presenta opere realizzate in grafite su carta, privilegiando i materiali più elementari per rappresentare il segno, tradotto in partiture leggere e giocose prive di significati di alcun genere.
L’artista americana Max Cole (Pittsburgh, 1937), al contrario, fa del segno il fulcro della sua ricerca artistica trasformandolo in un mantra visivo, che si concretizza in linee orizzontali interrotte da brevi pulsioni verticali, dove ripetizione e ritmo sono protagonisti.
In linea con quest’ultima, anche il lavoro di Greta Schödl (Hollabrunn, 1929) è frutto di profonde meditazioni. La stessa Madesani spiega nel testo in catalogo: “I suoi lavori, di diverse grandezze, sono al di là di una dimensione temporale precisa. Sono opere diacroniche che uniscono più momenti, in cui la datazione perde talvolta il suo senso”.
Elena Modorati (Milano, 1969) riflette invece su un ulteriore aspetto: concepisce il segno come una scrittura che istituisce il senso, un momento primario che rimanda agli archetipi e che fissa le coordinate di partenza dalle quali è possibile orientarsi. Nelle sue opere non mancano chiari riferimenti alla pittura fiamminga e alla sua dimensione più intima e nostalgica.
Similmente a Marcia Hafif, le opere di Leila Mirzakhani (Teheran, 1978) sono realizzate in modo essenziale su carta, e la componente del pensiero è fondamentale. Dai suoi lavori emerge un segno primitivo, che l’artista interpreta come quello che l’uomo imprimeva sulle pareti prima dell’avvento della storia. Dunque un segno istintivo e pratico, ma che pur sempre affonda le radici in una riflessione accurata.
La ricerca artistica sul segno si conclude con gli interventi site specific di Nina Carini (Sicilia, anni Ottanta), in cui non manca una forte indagine sul tempo, tema essenziale per tutte le artiste di Partiture Illeggibili, e sul linguaggio. Le sue opere si possono definire performative, dove il segno si declina prima in sfere, grandi e piccole, poi in fogli scritti a mano con inchiostro e trasparina.
Labs Gallery ci racconta dunque la storia del segno dalle sue origini a oggi, a partire dall’esperienza di Marcia Hafif degli anni Settanta, fino a quelle più contemporanee di Elena Modorati e Nina Carini. Partendo da presupposti diversi le sei artiste, insieme, danno vita a un mosaico di esperienze che, se ricomposto, trova armonia in un argomento univoco tutto al femminile.