10 Domande ad Adelaide Marchesoni

marchesoni_biennaleCollaboratrice dal 1993 (sino al 2011) del Sole 24 Ore in qualità di responsabile della Redazione specialistica Analisi dei Mercati Finanziari, Adelaide Marchesoni è passata dal 2008 ad Art Economy 24, accanto a Marilena Pirrelli, per occuparsi di analisi di bilancio dei musei italiani e anglosassoni, scoperchiando il vaso di Pandora sull’assenza di trasparenza delle istituzioni museali italiane. L’avevamo incontrata in occasione della sua lezione al Master in Economia e Management dell’Arte e dei Beni Culturali della Business School del Sole 24 Ore, dove ci aveva illustrato come si realizza l’analisi dei bilanci delle istituzioni culturali. Vi riproponiamo l’intervista integrale del 23 novembre 2015.

Dottoressa Marchesoni la sua formazione mi ha colpito, Lei infatti si è laureata in Lingue e Letterature Straniere presso l’università Iulm di Milano…come è giunta ad occuparsi di analisi finanziaria?

Alle scuole superiori ho frequentato un istituto tecnico che si occupava di attività economiche, molto simile alla ragioneria, ma con indirizzo linguistico. Ho deviato all’università ma appena laureata ho iniziato a lavorare in una società che si occupava di investimenti immobiliari. Durante questo impiego i miei datori di lavoro mi hanno iscritto ad un corso per analisti finanziari e sono così diventata a tutti gli effetti un analista finanziario, iniziando la mia carriera con i bilanci delle società quotate.

Come è avvenuto il suo incontro con il Sole 24 Ore?

L’incontro con il Sole è avvenuto circa 20 anni fa. Io lavoravo come analista in uno studio di un agente di cambio e mi occupavo di analisi di bilancio per investimenti in borsa, lì ho conosciuto Alberto Nosari, ex giornalista del Sole. È stato lui a domandarmi di sviluppare un ufficio studi dedicato all’analisi finanziaria. Dal 2008 ho invece iniziato a collaborare con Marilena Pirrelli alla rubrica Art Economy 24.

Come è passata dai bilanci di società quotate all’analisi della trasparenza dei bilanci degli enti museali?

Io conoscevo Marilena da molti anni perché, prima di art economy, lei si occupava di giornalismo finanziario e lavoravamo a stretto contatto. Nel momento in cui lei propose a Ferruccio De Bortoli, l’allora direttore del Sole, di aprire questa sezione del giornale Marilena mi chiese subito “Adelaide come vuoi collaborare?”. Io allora le suggerii di creare una nuova sezione, economia e musei, dove raccogliere tutte le informazioni sulla trasparenza dei dati di bilancio dei musei italiani e anglosassoni.

Qual è stata la suo prima impressione quando ha iniziato ad occuparsi di questo tema?

All’inizio mi sono occupata prevalentemente di musei anglosassoni ed ero colpita dalla semplicità di accesso alle informazioni dei bilanci, bastava navigare sul sito o al più inviare una mail o fare una telefonata, era una serietà a cui io non ero abituata. In seguito ho voluto analizzare i bilanci dei musei italiani e ci ho messo poco ad accorgermi che da noi era tutt’altro che facile accedere a queste informazioni.

Quale è stata la difficoltà maggiore che ha riscontrato?

I nostri musei, forse per la loro stessa istituzione giuridica ancora non ben definita, non hanno purtroppo una corporate identity, il che li porta a non avere un bilancio separato dalle istituzioni comunali, regionali o statali a cui appartengono. Nel momento in cui hai una situazione giuridica definita puoi analizzare le voci di bilancio relative alla loro attività caratteristica ed in primis analizzi i contributi statali e degli enti locali, che negli ultimi anni sono in netto calo. Per intraprendere un’attività museale efficiente occorrerebbe che i musei aumentassero la capacità di raccogliere fondi dai privati e ritengo che per far questo sia necessario un incentivo fiscale più adeguato che è presente in tutti i paesi anglosassoni e rappresenta il vero dato distintivo tra i due paesi.

In Italia ci sono delle realtà che si configurano come best practises in materia di trasparenza?

Devo dire che dal 2008 che ho iniziato a fare questo lavoro l’approccio si è modificato, i nostri musei hanno fatto un notevole sforzo verso una maggior trasparenza. Detto questo ritengo che due musei in particolare realizzino un ottimo lavoro in materia di trasparenza: la GAMeC di Bergamo e il Mart di Rovereto. Quest’ultimo rende il bilancio scaricabile direttamente dal sito web ed è ricco d’informazioni e di dati molto utili a tutti gli stakeholder del museo.

Quali sono gli insegnamenti che dovremmo trarre dalla realtà museale anglosassone?

In primis il fundraising per slegarsi dal contributo pubblico, ma non deve essere una partnership una tantum ma occorre costruire un rapporto di finanziamento a lungo termine che contribuisca a realizzare una programmazione pluriennale, mentre nel nostro paese i musei tendono ad adagiarsi al contributo pubblico. Le attività accessorie e collaterali sono un altro aspetto da coltivare e sviluppare in quanto anche queste possono renderti immune dalla contribuzione statale.

Secondo lei lo stato dovrebbe intervenire con leggi mirate per la trasparenza delle fondazioni private dal momento che gran parte dei loro finanziamenti giungono dallo stato stesso?

Io credo che debba essere un’esigenza dei musei costituitisi in fondazioni private rendere trasparenti i propri numeri per aumentare la loro credibilità da parte del pubblico.

Le nomine di Franceschini di questi direttori provenienti da ambiti internazionali possono contribuire allo sviluppo dei musei italiani?

Sicuramente l’esperienza internazionale aiuta, ma occorre vedere se questi direttori riusciranno a fare il loro lavoro, in quanto l’expertise da solo non basta, ma come ho già asserito è indispensabile attivare delle leggi che incentivino le donazioni private e quindi sbloccare il dirigente museale nello svolgimento del suo lavoro.

Quale sarà il futuro del museo: pubblico o privato?

Secondo me privatizzare o non privatizzare, inteso come numero di soci che entrano nel fondo di dotazione di un museo, non rappresenta il vero problema. La questione è rendere il museo un’entità autonoma in un processo di aziendalizzazione. Con questi 20 poli museali che dovrebbero trasformarsi in vere e proprie aziende culturali Franceschini ha aperto la strada ad una nuova concezione di museo.